Abbiamo visto in un articolo sulla metodologia didattica le strategie e gli approcci “classici” per insegnare inglese.
Negli anni ’90 dello scorso secolo, sono emerse nuove teorie che partivano non dalla tradizione (come il metodo traduttivo), né dalla psicologia (come lo strutturalismo e l’approccio comunicativo), bensì dall’osservazione del cervello che impara e dalle neuroscienze.
Rod Ellis è un professore ancora vivente, che ha portato avanti le ipotesi di Krashen, rinnovandole alla luce della neurolinguistica, oltre che delle evidenze di apprendimento.
La sua opera è molto vasta, ed è particolarmente noto per il suo approccio glottodidattico basato sul “task”. In questo articolo, tuttavia, riassumiamo un suo scritto conciso ed importante, in cui elenca 10 principi fondamentali per insegnare le lingue straniere.
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Principio 1: insegnare le espressioni formulaiche (frasi fatte, linguaggio “prefabbricato”)
Non so quanti di voi si siano soffermati a pensare quante frasi “fatte” usiamo. Non sto parlando di frasi “banali” o contenuti scontati, ma proprio di costrutti automatici, parole che spontaneamente seguono ad altre creando una sorta di “unità”.
Il numero di frasi fatte usate da un nativo è elevatissimo, e perlopiù inconscio. Quando parliamo la nostra lingua, siamo automatici: molto spesso l’unità minima del nostro significare non è la singola parola (da articolare in frasi), ma la frase intera.
Quando si insegna una lingua nuova, molto spesso si tende ad insegnare le parole separatamente, una per una. Ma questo approccio ha svariati svantaggi:
- non facilita la comprensione. Dire “blu” è molto meno chiaro di “il cielo è blu”, frase che sottolinea immediatamente il significato della parola
- lascia al discente la fatica di dover costruire le ffrasi, partendo dalla regola grammaticale. Questo compito di costruzione è arduo, e infatti spesso ci imbattiamo in studenti che conoscono molti vocaboli separati, ma non li sanno assemblare.
Al contrario, si dovrebbe vedere nella frase l’unità da insegnare, e non la singola parola. Se cercate di pensare a come un genitore parla al figlio piccolo (nella glottodidattica moderna l’ispirazione per l’istruzione in lingua straniera è il modello parentale per insegnare la lingua madre), troverete poche parole singole, e moltissime frasi…dammi il libro/vuoi un biscotto?/arriva il cane!/il sole è giallo…
Naturalmente, il discente dovrà capire il significato non solo della frase, ma anche delle parole che la compongono. Ma questo è un passaggio che avviene grazie agli elementi pragmatici e contestuali che permettono la comprensione dei singoli elementi , nonchè con l’uso e l’esposizione a frasi simili nelle quali le parole vengono scambiate o sostituite, mantenendo la struttura sintattica.
Facciamo un esempio: se insegniamo
The sky is blue
possiamo veicolare la comprensione indicando il cielo e una flashcard con il color blu (è solo un esempio)
Poi possiamo insegnare
The sea is blue
Mostrando il mare e la stessa flashcard di colore blu.
E infine
The flower is blue.
Mostrando il fiore blu e la medesima carta di colore blu.
A questo punto il discente avrà capito, ma possiamo comunque rinforzare chiedendo di ripetere la pronuncia del termine blue.
Il bambino avrà imparato che blue vuol dire blu, ma a livello inconscio avrà interiorizzato molto di piu’: la struttura della frase minima S+ Predicato nominale
Ciò che induttivamente lo ha aiutato a comprendere il significato, domani induttivamente lo aiuterà a parlare. Infatti si può provare a fargli fare un esercizio simile (per esempio, mostrando la carta “sun” e “yellow” si può privare a elicitare la frase “the sun is yellow”.
La sfida dell’insegnamento del linguaggio formulaico è di aiutare il bambino prima ad usarlo per imiziazione e poi a renderlo creativo (la base della produzione parlata è precisamente la ripetizione e poi rielaborazione di frasi modello, apprese e poi messe in comunicazione in contesti motivanti)
Qui trovate delle strategie per insegnare la costruzione della frase allargata in inglese
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Principio 2: orientare l’attività al significato
Non impariamo nulla in modo durevole, se non lo comprendiamo. Non otteniamo interesse e motivazione, senza comprensione.
Dobbiamo fare in modo che gli alunni comprendano. Ogni volta che insegniamo frasi e facciamo delle attività, cerchiamo di spezzare, illustrare ed essere certi che gli alunni afferrino ciò che stiamo dicendo, legando i significanti ai significati (almeno globalmente).
Una sequela di frasi incomprensibili non sono altro che rumore, potrebbero essere pronunciati in inglese o ostrogoto senza che ciò faccia alcuna differenza.
Piu’ che l’attenzione alla forma, alla grammatica, accertatevi che lo studente comprenda il significato di ciò che state dicendo: contestualizzate, usate la TPR, le immagini, il mimo…ma assolutamente state attenti che ogni frase corrisponda ad una immagine o concetto chiaro nella testa del discente.
Principio 3: orientare l’attività parzialmente anche alla forma
Non è in contraddizione con quanto detto prima. La lingua è un codice, che per veicolare un significato si serve di svariati significanti (le parole) e di regole che le legano tra loro.
Non si richiede di declamare le regole (non serve quasi a nulla), ma di notare le strutture. E qui torniamo al punto 1: si insegnano le frasi e si fanno notare, si elicitano, si chiedono di riprodurre gli elementi di sintassi: l’ordine delle parole, la presenza o meno di ausiliari etc…i discenti devono “notare” che certi significati vengono veicolati da frasi con una certa forma (per esempio, il significato interrogativo, oltre che dalla intonazione, è segnalato da una frase con un diverso ordine di parole).
Principio 4: l’istruzione linguistica deve essere finalizzata alla competenza implicita
La lingua è una procedura in larga parte automatica, come andare in bicicletta. Noi non impariamo ad andare in bici pensando in ogni istante a cosa faremo o stiamo facendo. Noi inforchiamo la bici in modo automatico.
Questo è ciò che intendo per conoscenza implicita: non verbalizzo ciò che sto facendo, lo faccio a livello sub-conscio, perchè lo ho automatizzato.
Mettere il soggetto prima del verbo, o in inglese l’aggettivo prima del nome, deve diventare una procedura inconscia. Questo è fondamentale: non si insegna a “dire la regola”, ma si cerca di rendere spontanea la sua applicazione.
Principio 5: esiste un ordine obbligatorio con cui si impara la lingua
Alcune cose sono ovvie: non si insegna il periodo ipotetico del terzo tipo prima della frase negativa. Il motivo è che lo studente non ha il materiale linguistico per comprendere l’elemento troppo avanzato.
La progressione logica dal piu’ semplice al piu’ complesso è molto naturale.
Ma ci sono elementi anche molto specifici: ogni discente ha una sua lingua madre, che ha una sua struttura. Ad esempio, ci sono lingue SVO (come l’italiano e l’inglese) e lingue SOV (come il tedesco).
Si tende a trasferire naturalmente la propria struttura sintattica alla lingua straniera, quindi tutte quelle strutture che sono oggettivamente simili nell due lingue possono essere insegnate velocemente e senza fatica.
Al contrario, bisigna procedere piu’ lentamente se si affronta una struttura che è diversa nella lingua madre.
Principio 6: imparare una lingua straniera richiede moltissima esposizione
Abbiamo imparato la lingua madre ascoltando per migliaia e migliaia di ore persone che la parlavano, ma soprattutto coinvolgendoci in atti comunicativi mirati ad accrescere la nostra competenza.
Non possiamo certo pretendere che con una ora alla settimana di inglese si raggiungano risultati “magici”. Il docente deve trovare un modo per assicurare allo studente numerose “docce linguistiche” ovvero una esposizione alla lingua regolare, continua e coinvolgente (letture, audio, video…).
Principio 7 e 8: l’acquisizione linguistica richiede opportunità di parlare
La lingua parlata non si impara solo ascoltando. Bisogna fare in modo che i discenti usino la lingua, non solo ripetendo, ma combinando frasi con gli elementi a loro disposizione, all’interno di veri e propri atti comunicativi. Quindi, nella classe, il docente dovrà organizzare sempre giochi comunivativi che, con l’aiuto di frasi modello, permettano da subito ai bambini di “parlare”
Principio 9: è necessario tenere in considerazione le differenze individuali dei discenti
Anche la lezione migliore se non è adatta alla platea sarà sbagliata. E’ necessario avere in mente le caratteristiche degli alunni, sia dal punto di vista delle caratteristiche sensoriali e delle esigenze didattiche, sia dal punto di vista del temperamento, eventuali difficoltà, punti di forza.
Nell’ambito di un approccio multisensoriale, inoltre, è indispensabile fare anche una parte di lavoro con gli alunni: renderli consapevoli di come apprendono, fare provare loro (in ottica metacognitiva) diversi strumenti e strategie.
Principio 10: la verifica del livello raggiunto deve prendere in considerazione sia gli scambi “strutturati” che quelli spontanei
Per valutare il livello raggiunto dagli studenti, non basta verificare come performano i compiti strutturati, ma occorre valutare anche lo sviluppo del loro eloquio spontaneo, nel quale dovrebbe essere visibile tutto il condensato del lavoro fatto in classe e tra una lezione e l’altra.
Qui potete trovare l’articolo di Rod Ellis in inglese.
Nei prossimi articoli continueremo con altri articoli sulla glottodidattica, cercando sempre di dare un taglio pratico e immediato ad osservazioni veramente importanti che dovrebbero entrare in tutte le classi.
Per approfondire:
- le teorie di Krashen
- sull’insegnamento della grammatica alla scuola primaria
- usare il ritmo per insegnare la grammatica inglese
- la migliore grammatica della lingua inglese
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