Questo articolo è stato scritto da Ilaria Venagli, laureanda presso la facoltà di scienze del linguaggio presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e parla di uno studio che esplora la tematica dell’ansietà nell’apprendimento della lingua straniera.
Il titolo dello studio è FOREIGN LANGUAGE CLASSROOM ANXIETY La scoperta di E.K. Horwitz, M.B. Horwitzt, J.C. Cope (1986)
I vostri alunni potrebbero soffrirne, lo sapevate?
Si tratta di una condizione d’ansia specifica, analizzata dagli psicologi e provata da esperimenti condotti su studenti universitari che accusano sintomi d’ansia – un’ansia peculiare che si sviluppa e manifesta tra quattro mura: quelle della classe di lingua.
“Non ce la faccio”
“Mi sento tremare le gambe”
“La mia mente si offusca, improvvisamente”
È un blocco mentale. E.K. Horwitz, M.B. Horwitzt, J.C. Cope pubblicano questo articolo nel 1986 – a seguito di un esperimento che prova l’esistenza di questo stato d’animo; non solo la sua esistenza ma anche la sua entità.
Per fornire una definizione specifica di questa condizione potremmo dire che si tratta di quell’istinto di lottare continuamente per raggiungere l’obiettivo di apprendere una lingua seconda, ma ritrovarsi vittime di un blocco mentale ogni volta che – nel contesto classe – è richiesta una performance linguistica.
In particolar modo, sembra che questa condizione – che si manifesta in nervosismo, tensione, timore, preoccupazione e apprensione causa di un’eccitazione del sistema nervoso – abbia questi tre specifici sintomi: communication apprehension, ovvero l’incapacità di esporsi oralmente dovuta principalmente al nervosismo, text anxiety – quello che spesso si sente dire: “sapevo tutto, ma sono andato in panico, ecco perché ho preso un’insufficienza” – e infine the fear of negative evaluation, quell’ansia di essere giudicati negativamente, non solo dall’insegnante ma anche dai compagni.
Starete pensando, è semplicemente la classica ansia, non è vero?
No.
Non se si considerano le conseguenze. “Anxiety contributes to an affective filter, according to Krashen, which makes the individual unreceptive to language input; thus the learner fails to “take in” the available target language messages and language acquisition do not progress” (E.K. Horwirtz, M.B. Horwitz, J. Cope)
Mette a rischio la capacità di apprendere e progredire e – più importante – i continui insuccessi potrebbero avere conseguenze negative sulla loro motivazione: il motore dell’apprendimento linguistico.
Un po’ di positività? Uno dei sintomi è l’overstudying – la loro voglia di imparare li spinge a sforzarsi sempre di più, ma senza feedback positivi soffriranno, sempre di più.
Per spiegare l’importanza di strategie e accorgimenti che sarebbe importante adottare – da buoni insegnanti – vi racconto di GLL: the Good Language Learner.
Queste sono le due figure con cui ci relazioniamo, da insegnanti: l’alunno dotato, propositivo e dai buoni risultati e quello timido, che arrossisce e abbassa lo sguardo se gli vien chiesto “Introduce yourself, who are you?!”
Che domanda semplice, vero? Devo solo dire il mio nome e quattro frasi semplici, eppure. La voce trema, il viso è paonazzo. Di contro, tanti studenti sembrano eccellere nella materia senza particolare sforzo – esposizioni orali articolate e testi ricchi di vocaboli che probabilmente hanno imparato da soli.
The Good Language Learner, lo studente che adotta strategie di apprendimento specifiche, che è consapevole dei propri punti di forza e li sfrutta al meglio per imparare: sarebbe bello se la percentuale di questi studenti in una classe fosse superiore al 50% – purtroppo le percentuali ottenute dall’esperimento sopra citato segnalano il contrario: “I never feel quite sure of myself when I am speaking in my foreign language class” “Agree”.
Su cosa si potrebbe dunque lavorare? Innanzitutto, sulle quattro mura tra le quali questa specifica condizione psicologica nasce e si manifesta: l’ambiente classe. La cooperazione tra i compagni, i riconoscimenti e feedback positivi da parte dell’insegnante – che deve impegnarsi a riconoscere gli sforzi, oltre che la buona performance – sono sicuramente una chiave di successo. “Most problems of teaching are not problems of growth but helping cultivate growth. As far as I know, and this is only from personal experience in teaching, I think about ninety percent of the problem in teaching, or maybe ninety- eight percent, is just to help the students get interested. Or what it usually amounts to is to not prevent them from being interested. Typically, they come in interested, and the process of education is a way of driving that defect out of their minds. But if children[‘s] … normal interest is maintained or even aroused, they can do all kinds of things in ways we don’t understand.” (Chomsky)
Sostituite interesse con motivazione – the driving force.
Mantenere viva la motivazione degli studenti è il compito più difficile per un’insegnante – soprattutto di fronte a continui insuccessi, perché tante volte questa è la realtà.
È bene capirne la causa, degli insuccessi – capire a cosa siano dovuti, chiedersi se stiamo suggerendo il giusto input e se così fosse, capire a cosa sia dovuta la mancanza di elaborazione di questo. Nel nostro caso, la lingua.
The fact is that if you have not developed language, you simply don’t have access to most of human experience, and if you don’t have access to experience, then you are not going to be able to think properly.Chomsky Lavorate perché abbiano accesso alla lingua – è la chiave del pensiero, che li farà crescere.
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