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Intervista sul bilinguismo
Siamo particolarmente onorati perché l’intervista di questa settimana è con Patrizia Cordin, direttrice di Bilinguismo Conta- Trento e docente di Linguistica e Glottologia all’Università di Trento, che risponde alle nostre domande.
Come docenti di inglese e coinvolti in progetti di implementazione dell’educazione ed istruzione dell’educazione bilingue, abbiamo sempre affrontato il tema del bilinguismo, ed oggi siamo particolarmente fieri di proporre questo contributo ai nostri lettori.
Cosa è il bilinguismo? E’ vero che esistono “vari bilinguismi”? In che senso?
Quando si parla di bilinguismo ci si riferisce all’acquisizione che il/la bambino/a ha di due o più lingue durante l’infanzia, secondo diverse possibili modalità e in diversi contesti sociali. Il bilingue non è necessariamente un parlante che conosce e usa perfettamente le due lingue.
Secondo François Grosjean, docente di psicolinguistica all’Università di Neuchâtel, il bilinguismo è l’uso di due lingue nella vita quotidiana.
Il bilinguismo può essere di tipo diverso. Si ha un bilinguismo precoce quando sin dalla nascita il/la bambino/a è esposto/a alle due lingue; ma l’esposizione utile per il bilinguismo può iniziare anche quando il/la bambino/a ha qualche anno, o addirittura quando il parlante è adulto.
Si ha un bilinguismo simultaneo, quando il parlante è esposto nello stesso periodo a due o più lingue, e un bilinguismo consecutivo quando invece il parlante è esposto per un periodo a una lingua e di seguito a un’altra.
Il bilinguismo, inoltre, può essere bilanciato o non bilanciato: di solito, una delle due lingue è almeno un po’ dominante sull’altra, ma con il passare del tempo e in situazioni diverse per uno stesso parlante il rapporto di dominanza può cambiare.
Abbiamo anche un bilinguismo detto “svantaggiato”, che si riconosce nei casi in cui una delle due lingue è considerata poco prestigiosa, è poco praticata in contesti “alti”, e rischia addirittura di essere persa dal parlante, come spesso avviene per la lingua d’origine nei contesti migratori.
Infine, abbiamo un bilinguismo attivo, che permette comprensione e produzione nelle due lingue, e un bilinguismo che è solo passivo, perché permette la comprensione, ma non la produzione, nelle due lingue.
Quali sono i principali vantaggi dell’essere bilingue?
I vantaggi culturali ed economici sono ben noti: possedere più di una lingua permette di conoscere meglio più di una cultura, e abitua anche a considerare qualsiasi problema da diversi punti di vista.
Inoltre, tutti sappiamo che praticare con facilità più di una lingua favorisce anche per il lavoro (per trovarlo e per svolgerlo), soprattutto oggi, in situazioni che sempre più richiedono di interagire con paesi di tutto il mondo.
Forse è meno noto che crescere con più di una lingua può dare anche una serie di vantaggi mentali/cognitivi: una maggiore abilità di distinguere tra forma e significato delle parole, un più veloce sviluppo delle capacità di lettura e scrittura, un più facile apprendimento di una terza o di una quarta lingua.
Infine, i bambini bilingui spesso gestiscono meglio il controllo dell’attenzione, perché riescono a ignorare dettagli irrilevanti, e perciò possono eseguire più compiti contemporaneamente o in rapida successione.
Esistono situazioni in cui essere bilingue può comportare degli svantaggi o delle difficoltà?
E’ inevitabile che il parlante monolingue sia esposto alla lingua per un tempo maggiore rispetto al parlante esposto a due lingue. Perciò sicuramente, proprio per la minor quantità di esposizione che riceve in ciascuna lingua, il/la bambino/a bilingue tipicamente mostra un accrescimento del vocabolario di ciascuna lingua più lento rispetto al monolingue. Si noti però che la somma dei due vocabolari è maggiore.
Lo stesso vale anche per la comprensione e la produzione di strutture grammaticali complesse, che si sviluppano nei bilingui con qualche ritardo rispetto a quanto avviene per i monolingui. Si tratta però di ritardi che sono destinati a risolversi nel tempo.
Molti adulti del nostro Paese, oggi genitori di bambini in tenera età o età scolare, non sono bilingui e non hanno avuto una educazione bilingue (a differenza dei nonni, tanti dei quali parlavano sia italiano che dialetto).
Questi genitori si trovano ora nella consapevolezza che il mondo accademico e lavorativo chiederà ai loro figli di essere adulti bilingui.
Quali consigli darebbe a un genitore che debba decidere come avvicinare il figlio al bilinguismo, non avendo lui stesso avuto esperienza di un’educazione bilingue?
Ci sono diverse possibilità, che naturalmente dipendono dalle specifiche situazioni familiari.
Una buona opportunità è data dalle scuole bilingui alle quali si può iscrivere il bambino. Altre possibilità sono da scoprire nei diversi contesti, tenendo presente che: a) prima si inizia l’esposizione linguistica, migliore è il risultato; b) la comunicazione con parlanti nativi ha effetti migliori che la comunicazione con parlanti non nativi; c) è molto utile guardare televisione e film in lingua originale.
Vale la pena di ricordare che è stata proprio la televisione a trasformare gli italiani da dialettofoni a bilingui.
Il ruolo positivo della televisione per il plurilinguismo si rivela anche in molti paesi dell’Europa del Nord, come per esempio l’Olanda, dove la lingua originale è mantenuta e sottotitolata in molti programmi radiofonici e televisivi, e per i film.
Con il cinema e la televisione in lingua originale ci si abitua sin da piccoli a distinguere diversi accenti e intonazioni e a far propri vocaboli e strutture di altre lingue, soprattutto con l’aiuto delle immagini.
Si può diventare bilingui solo iniziando da piccoli?
Naturalmente è possibile diventare bilingui anche da adulti.
Tuttavia, il bilinguismo infantile è facilitato: fino ai sei anni l’apprendimento avviene senza sforzo.
In questo periodo il cervello dei bambini è come una spugna: l’acquisizione linguistica è un processo spontaneo, ben diverso da quello consapevole che deriva dall’istruzione.
In particolare, la pronuncia in lingue diverse nella prima infanzia si sviluppa senza alcuno sforzo, mentre per i parlanti adulti il repertorio dei suoni linguistici è già “fossilizzato”, ristretto a quello della prima lingua.
Se un bambino ha problemi di linguaggio (ritardo o disturbo di linguaggio), è consigliabile introdurre lo studio di una seconda lingua? Perché?
Ci sono delle ricerche in corso su questo tema che mostrano come il bilinguismo non aumenta le difficoltà di chi ha disturbi del linguaggio, e al contrario in alcuni casi può avere persino un effetto positivo, come succede per la consapevolezza morfologica (come sono costruite le parole) e per le funzioni esecutive di compiti che richiedono un’attenzione selettiva.
“Bilinguismo conta” è parte del progetto internazionale “Bilingualism Matters”. Di cosa si tratta?
«Bilingualism Matters» nasce a Edinburgo alla fine del 2008 per fornire informazioni basate sulla ricerca a tutte le persone che hanno a che fare con il bilinguismo.
Riporto le parole di Antonella Sorace, la fondatrice: «Il nostro obiettivo è fornire un’informazione corretta sul bilinguismo perché crediamo che il cambiamento avvenga attraverso il dialogo tra ricercatori e comunità. Lavoriamo in collaborazione con genitori, insegnanti, operatori sanitari, amministratori e datori di lavoro per entrare nella vita quotidiana delle persone.»
Condividendo lo stesso obiettivo, alla sede principale di Edimburgo si sono aggiunte negli anni altre tredici sedi, tre delle quali in Italia (Trento, Milano e Siena).
Quali sono le prossime iniziative di “Bilinguismo Conta”?
Una prima iniziativa riguarda un’indagine sulla diversità linguistica presente nelle scuole del Trentino.
Per valorizzare tale diversità serve innanzitutto conoscere precisamente il retroterra linguistico-culturale degli allievi bilingui. Perciò Bilinguismo Conta, insieme all’IPRASE (Istituto provinciale per la ricerca e la sperimentazione educativa) e al Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, ha sviluppato un questionario dettagliato sugli usi linguistici dei/lle bambini/e bilingui/plurilingui che frequentano le classi prima e seconda nelle scuole primarie del Trentino, e l’ha tradotto in dieci diverse lingue.
Il questionario sarà compilato dai genitori di circa 1800 scolari/e. Una seconda iniziativa è il progetto Erasmus Tandem Learning, che si propone di attivare un’offerta strutturata di tandem learning presso l’Università di Trento per arricchire le competenze linguistiche di studenti e studentesse (in arrivo e in partenza per soggiorni Erasmus), grazie all’introduzione di percorsi di pratica di una seconda lingua, flessibili e facilmente accessibili.
Ringraziamo la Prof. Cordin per il suo contributo sul nostro blog.
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